L’elegante ribellione di scrivere a mano in un’ epoca digitale

Nel 2021, in uno studio del “Centro per la ricerca sulla cognizione e l’apprendimento” dell’ Università di Poitiers, in Francia è stato dimostrato che la fatica per digitare su una tastiera è maggiore rispetto a scrivere a mano.

Nello stesso tempo, si è anche  osservato che, usando PC, tablet, smartphone, le risorse per memorizzare vengono ridotte rispetto alla scrittura a mano, tanto che si riducono fondamentali processi sensomotori complessi, con la conseguenza che i  concetti che si scrivono sui device, non rimangono impressi nella memoria, come invece avviene per la scrittura a mano, su carta.

I benefici di una scrittura a mano, sono tali che, come riporta l’Economist, settimanale di politica- economica, nel Regno Unito, si sta re-introducendo nei piani d’istruzione, questa pratica, a partire dai sei anni di età, riducendo invece l’uso massivo dei dispositivi tecnologici.

Anche nei paesi Occidentali, in Canada e in alcuni Stati degli Stati Uniti, si sta rivalutando, in ambito scolastico, l’uso della scrittura a mano, cercando di limitare l’uso delle mccchine.

Di pari passo si sta iniziando a rivalutare anche l’insegnamento dello scrivere a mano, e in particolare del  il corsivo, ponendo riparo ai danni di una corrente pedagogica che, a partire dagli anni Ottanta, prevedeva per l’ insegnamento della scrittura a mano, l’uso del maiuscoletto, meglio conosciuto come STAMPATELLO, che risultava essere più facile, veloce e meno faticoso da apprendere, rispetto al corsivo, ma che ha portato una serie di limiti e difficoltà che, si sono evidenziati chiaramente nel tempo.

Si è così riscontrato che,  l’uso dello stampatello annulla tutto ciò che riguarda la costituzione  di un glifo. Basti pensare alla creatività che occorre per creare gli  occhielli della “a” o della “o”, l’attenzione per stilare le aste, su come legare le lettere tra di loro, le adduzioni e abduzioni per gli allunghi, l’ampiezza delle asole, la velocità di esecuzione, l’ordine  nella gestione del foglio affinché lo scritto nell’insieme risulti gradevole, sia dal punto di vista estetico che  grafico.

Per fare tutto ciò (e tutto non è), ci vuole impegno, creatività, attenzione, concentrazione, affinché l’energia vitale possa scorrere attraverso il mezzo grafico, per segnare il foglio.

Con l’uso imperante dei mezzi tecnologici, la mano non è stata più chiamata a scrivere, quanto piuttosto lo sono state le dita, e in particolare le punte.

In un’epoca come la nostra, dove vi è un fortissimo cambiamento politico e economico, dove la nostra società è in piena rivoluzione socio-culturale, occuparsi di scrittura è un atto estremamente rivoluzionario, che fa andare controvento, controcorrente, attivando una vera e propria elegante rivoluzione, per  chi la insegna e chi la pratica. E per poterlo fare, sia da una parte che dall’altra, occorre avere basi solide e forti.

La scrittura di per sé è stata una delle più grandi rivoluzioni sociali della storia dell’uomo, potentissima e dirompente, perché ha permesso al genere umano acquisizioni e conoscenze tali per cui si è potuto avere un progresso e un avanzamento, in ogni campo.

La scrittura ( e lettura) sono stati elementi di forte impatto dal punto di vista culturale, anche perché inaspettati e non contemplati nell’evoluzione, in quanto si basano su meccanismi a livello cerebrale, che in natura, erano deputatie per altri scopi, ma essendo queste aree cerebrali plastiche, si sono adattate e convertite  a nuove funzioni.

Per meglio sottolineare la plasticità delle funzioni del cervello, oltre alla scrittura, pensiamo al linguaggio: anche in questo caso, la natura non aveva previsto nessun circuito neuronale o un apparato specifico per parlare, eppure la comunicazione verbale dell’Homo Sapiens è evidente e reale.

Queste funzioni, questa capacità di adattamento per necessità, vengono definite dai neuroscienziati come fenomeni di “riciclaggio neuronale” , la stessa che ha avuto luogo anche per la funzione motoria.

Nel caso della scrittura, neanche  la mano era stata pensata per muoversi e scorrere su un piano, per scrivere,  quanto piuttosto per prendere, afferrare, stringere, strappare, colpire, percepire con il tatto, ecc. Invece adattandosi alla nuova necessità, le ventisette ossa della mano, hanno acquisito la capacità di prensione e movimento con un mezzo grafico, permettendo così di lasciare un segno su un foglio, conservando nello stesso tempo le sue funzioni primordiali.

Quindi scrivere a mano, non richiede solo attitudini e particolari strutture neuronali, ma anche precise attività della mano, che nella scrittura in corsivo devono essere spiccate e ben allenate.  In particolare, nella scrittura in corsivo italiana e nel corsivo inglese, dove i grafemi per essere formati hanno necessità di curve, angoli, ricci, legamenti, movimenti che vanno verso l’alto o verso il basso, convolvoli, lo scorrere, lo scivolare della mano  sul foglio per formare il tratto  deve essere fluido, lineare, morbido. E affinché questo processo abbia luogo, bisogna prestare attenzione, avere concentrazione,  per tenere il rigo, non superare i bordi, la pressione deve essere equilibrata, ci deve essere un coordinamento con la vista e l’udito, come avviene nel caso di un dettato.

Tutte operazioni complesse che richiedono preparazione e applicazione, elementi che concorrono alla formazione della persona, a partire dall’infanzia, dove si formano e si costruiscono  le basi, affinché da adulto, si abbiano  anche capacità tali da potere  affrontare situazioni più complesse e articolate che si proporranno  nel percorso della vita.

Un fenomeno curioso quanto preoccupante che si è osservato,  in coincidenza  con la scomparsa della scrittura a mano, è che i bambini fanno fatica ad allacciarsi le scarpe, questo proprio perché mancano dei necessari elementi di coordinazione, che invece un’attività come la scrittura a mano è in grado di organizzare.

Le difficoltà di concentrazione, gli insuccessi, le frustrazioni nello studio, le problematiche che si riscontrano nei piccoli, e la disgrafia ne è una spia formidabile, sono  anche dovute a questa mancanza di capacità di concentrarsi e impegnarsi in un’attività complessa come scrivere a mano e soprattutto in corsivo.

Alcune culture, come quella araba e cinese, dove scrivere significa imparare degli ideogrammi, dei disegni, anche di dimensioni importanti, sapere scrivere  è annoverato  come una forma di arte, tanto che può essere usata per decorare monumenti.

In Giappone scrivere, è la vera e propria arte della calligrafia, chiamata shodo= via della scrittura,  e viene praticata da esperti calligrafi, che con movimenti lenti, sapienti, tramite l’uso di un pennello, tracciano i segni su un foglio poggiato a terra.

Il metodo Terzi per la rieducazione alla  disgrafia, richiama in certo qual modo questo metodo: attraverso l’uso del pennello e di fogli grandi, i bambini disgrafici, nelle sessioni di rieducazione al gesto grafico, a piedi nudi, a occhi chiusi prima, e aperti poi, imparano nuovamente ad appropriarsi del gesto grafico con lentezza, fluidità, con delicatezza e concentrazione, sino a riapprendere la capacità di prensione corretta della penna, della postura e del gesto per formare i grafemi in maniera corretta. 

E come dimostrato  da Hetty Roessingh dell’Università di Calgary, in Canada, è oramai chiaro che la scrittura corsiva a mano, ha uno stretto collegamento con le facoltà cognitive. E benché un bambino scriva ancora in maniera insicura, stentata, poco fluida, le aree del cervello e del corpo chiamate a compiere un’azione che pare così semplice, ma che invece è molto complessa,  sono cosi tante e tali  che, lavorare, affinché la scrittura corsiva a mano ritorni a scuola, è un bene e un valore troppo grande, che non ci possiamo proprio permettere di perdere, nell’ottica di tutelare le capacità  cognitive e neuronali delle nuove generazioni.